Herbarium Apulei 1481.

Farmaceutica - Erbari


Herbarium Apulei 1481. Questo testo, stampato nel 1481 per i tipi di De Ligamine, è una delle tante copie di erbari manoscritti che popolarono le biblioteche dell’Alto Medioevo, come diretta elaborazione di opere precedenti, risalenti sicuramente a Dioscoride se non a medici greci ancora più antichi. E’ noto, ad esempio, che già Crateva, medico di Mitridate VI, avesse realizzato un erbario figurato per conto del suo re. Tale erbario nel tempo si è disperso, ma una copia pare sia servita a preparare, alla corte di Bisanzio agli inizi del VI secolo dell’era cristiana, un erbario di fattura molto raffinata più noto come Codex Aniciae Iulianae. Nel Medioevo sono noti diversi autori che hanno per nome Apuleio, ma nessuno è identificabile con il vero autore del manoscritto, nemmeno quel Lucio Apuleio che si intendeva pur di medicina, ma che è rimasto più famoso per aver scritto l’Asino d’oro. Donde l’uso ormai consolidato di indicare l’autore dell’erbario come Pseudo Apuleio, al quale fu aggiunto il termine Platonico per non confonderlo proprio con l’autore testé citato. Di questo erbario esistono diverse copie manoscritte, non tutte conformi tra loro a causa degli inevitabili travisamenti da una mano all’altra. Le alterazioni riguardavano in modo particolare le figure, che non venivano copiate dal vero, ma dalle immagini riprodotte nelle copie già in circolazione; figure, peraltro, non sempre eseguite da disegnatori provetti. Tutte le copie in circolazione costituiscono un insieme di erbari che va sotto il nome di Corpus dello Pseudo Apuleio: tutti gli erbari hanno una radice dioscoridea per quanto riguarda i testi, mentre per quanto riguarda le figure si rifanno ad opere più antiche. Nel XIII secolo confluirono tutti nel gruppo degli erbari federiciani, antesignani di tipi più verosimili, come il Circa istans. Il manoscritto, qui riprodotto a stampa, si riferisce ad una copia, come dice l’editore nella lettera dedicatoria al cardinale Gonzaga, conservata a Cassino (Montecassino), probabilmente del IX secolo. Appartiene chiaramente a quelle opere che avevano un fine più pratico e divulgativo che "scientifico", anche se poi la realizzazione delle figure non sempre aiuta l’inesperto nel riconoscimento delle singole specie. L’opera si compone di 131 capitoli (oggi diremmo monografie), ma il primo, qui dedicato all’Herba Bettonica, in altri manoscritti è considerato a sé, in quanto attribuito notoriamente ad Antonio Musa, medico di Augusto. Il criterio espositivo è libero, non segue alcuna regola alfabetica. Subito dopo il titolo vengono dati diversi sinonimi, in più lingue. Seguono, poi, la rappresentazione (spesso è subito dopo il titolo) e quindi i rimedi curabili con quell’erba e alcune informazioni sul modo di applicarla. Le curiosità di carattere magico o semplicemente astrologico sono molte e non vale la pena in questa sede di scendere in dettaglio, essendo questo un carattere comune agli erbari del tempo, dai quali non manca mai qualche riscontro signaturale. Le figure sono elementari, anche se alcuni particolari essenziali sono ripresi con fedeltà (le infiorescenze ad ombrella delle ombrellifere, le foglie opposte del basilico e della menta, l’inserzione spiralata delle foglie della rosetta del semprevivo, ecc.). Numerose sono le piante raffigurate con il serpente al posto della radice, in quanto indicate contro il morso dei rettili (l’herba basilisca ne ha addirittura tre). In linea con altre raffigurazione coeve è quella della mandragora, un vero e proprio uomo-radice con un ciuffo di foglie al posto della testa.


Alcune immagini del libro